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Pochi sanno che il Lazio Meridionale ospita opere della primissima scuola di due grandi maestri dell’arte italiana: andiamo alla scoperta dello stile di Giotto e Canova a Terracina, a Itri e a Minturno.

I potenti feudi della Contea di Fondi e del Ducato di Gaeta, appartenenti al regno di Napoli, hanno goduto del mecenatismo di figure come la regina Giovanna I d’Angiò, o la potentissima famiglia Caetani, i quali arricchirono il patrimonio artistico locale commissionando importanti opere ai grandi maestri dell’epoca.

Minturno e Itri nel segno di Giotto

Dopo la decadenza dell’antica Minturnae, la popolazione locale prese ad abitare una località denominata Traetto, oggi ricadente nel comune di Minturno. La chiesa dell’Annunziata di Minturno ancora oggi conserva bellissimi affreschi come “Vergine Nikopoia” e “La Crocifissione” a lungo ritenuti opera del grandissimo Giotto per lo stile tanto simile, ma che oggi vengono attribuiti al suo allievo più dotato: Roberto D’Oderisio, spesso scambiato per Giotto stesso, tale era la vicinanza stilistica tra allievo e maestro.

Entrando nella chiesa di San Michele Arcangelo ad Itri, veniamo posti di fronte allo stesso dilemma di attribuzione, qui però le fonti coeve ci vengono incontro, aiutandoci ad identificare nel D’Oderisio l’autore degli affreschi superstiti e datando intorno al 1365 d.C. la presenza del maestro nel Lazio Meridionale.

Ad oggi -grazie ad un esame comparativo tra le opere- è possibile affermare che Roberto D’Oderisio sia l’autore di cicli pittorici dedicati a Santi e Madonne anche in altre chiese del feudo di Traetto, ovvero negli affreschi trecenteschi della Cattedrale di San Pietro Apostolo e della chiesa di San Francesco.

Per approfondire il tema abbiamo sentito la guida turistica abilitata Raphael Andreas Oberlander che ci ha detto: “Importante sottolineare soprattutto ne “La Crocifissione” l’impegno psicologico dell’opera, non più semplice rappresentazione, in quanto acquisisce una tridimensionalità emozionale di rara bellezza.”

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La Pietà di Terracina

I tanti turisti che affollano le spiagge di Terracina durante la bella stagione hanno preso a visitare anche le ricchezze artistiche che la città offre. Fra queste è indispensabile un passaggio all’interno della chiesa del Santissimo Salvatore sita nel basso centro storico della città presso il “Borgo Pio”. I motivi di tanta attenzione sono facilmente identificabili, il tempio infatti è considerato uno dei grandi capolavori architettonici del neoclassicismo italiano e ospita una delle opere più belle della scuola del Canova: la Pietà marmorea ad opera del maestro Cincinnato Baruzzi.

L’opera ha una gemella in bronzo, opera di Bartolomeo Ferrari, conservata nel Tempio Canoviano di Possagno in Veneto. La versione del Baruzzi viene completata nel 1830 e nel 1833 grazie al cardinal Dandini raggiunse Terracina per poi essere collocata all’interno della chiesa del Santissimo Salvatore.

Sempre Oberlander ci spiega: “Canova realizza il modello in gesso per queste opere, certamente una delle ultime del grande artista, eseguita nel novembre del 1821, Canova morirà il 13 ottobre del 1822. Difatti nella realizzazione delle opere il Canova era solito far sbozzare il marmo ai suoi collaboratori, per poi dare lui “l’ultima mano” quel velo di realtà che si posa sull’opera per renderla terrena.”

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Due artisti per due grandi tradizioni

“Possiamo definire -ci dice Oberlander- Roberto de Odorisio come uno dei massimi esponenti della pittura napoletana del Trecento. Forse più che allievo si può dire, più correttamente, che ne ha subito un influsso diretto soprattutto dei dipinti che Giotto ha realizzato a Napoli, ma è anche stato influenzato dalla pittura senese di Simone Martini. Si può parlare sicuramente quindi, di linguaggio giottesco comunque, se non un allievo diretto ne è sicuramente un allievo in termini di linguaggio espressivo.

Mentre per il Baruzzi non possiamo non sottolineare che fu il vero e proprio erede della bottega romana di Canova, di cui diverrà direttore alla morte del maestro, in quanto allievo prediletto.”

Ringraziando il nostro amico Oberlander per i preziosi spunti e per averci svelato queste ricchezze nascoste del nostro territorio, vi invitiamo a recarvi a vederle di persona non appena ci si potrà spostare.

 

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