
Kelle Terre
La nascita della lingua italiana
Dove nasce la lingua italiana? Con Dante sulle rive dell’Arno, direte voi. O magari grazie alle poesie della scuola siciliana. Ebbene no! La prima forma di italiano nasce a Montecassino nel 960.
Si tratta naturalmente di volgare, della lingua che a quel tempo si parlava. E si tratta di una lingua che potesse essere compresa anche dal popolo che non sapeva il latino a menadito. Parliamo dei Placiti cassinesi, 4 testimonianze giurate che segnano il momento in cui ebbe inizio l’italiano scritto. Le formule erano destinate a testimoniare l’appartenenza a Montecassino di alcune terre di cui si contendeva la proprietà da parte di privati.
Per risalire al primo tassello di questa storia, dobbiamo andare indietro nel tempo, fino al lontano 883 d.C., e all’approdo sulle coste dell’Italia Meridionale di una piccola armata saracena.
Mossi dal desiderio di distruzione e accumulo di ricchezze, i saraceni iniziarono a risalire la costa dirigendosi verso le montagne, lì dove si diceva che un gruppo di monasteri benedettini fossero pieni di oro e denari.
Ciò che rimase del loro passaggio fu un cumulo di macerie e chi sopravvisse a quella furia si guardò bene dal rimettere piede su quei terreni fino al secolo successivo.
Alcuni decenni dopo, quando il passaggio dei saraceni era ormai un antico ricordo, i monaci tornarono su quei luoghi per riprendersi gli antichi possedimenti, ma lì dove avevano lasciato terreni senza più padroni, trovarono abitazioni e appezzamenti ormai occupati dai nativi del posto.
Tornare in possesso di quei lotti di terreno per i benedettini fu abbastanza facile, tranne che in un caso, quando incontrarono l’opposizione di un signorotto locale, tale Rodelgrimo d’Aquino, il quale sosteneva di essere entrato in possesso del terreno in modo perfettamente legale.
Fu così che per risolvere la questione, l’abate di Montecassino, Don Aligerno, inviò il suo avvocato Pietro a perorare la causa in tribunale, di fronte al giudice Arechisi di Capua.
Durante il dibattimento, che avvenne tra il 960 e il 963, la lingua utilizzata fu il latino, ma quando il giudice Arechisi finalmente raggiunse il verdetto (il Placito), affermando che le terre prese al tempo da Rodelgrimo appartenevano ai monaci, ruppe con la tradizione.
Sao ko kelle terre per kelle fini que ki contene trenta anni le possette parte sancti Benedicti.
Questa la formula in lingua volgare scelta dal giudice per sancire l’appartenenza del terreno al monastero di Montecassino, ripetuta anche dai testimoni e che in italiano voleva dire “So che quelle terre, entro quei confini che qui sono indicati, per trenta anni le ebbe in possesso il monastero di San Benedetto“.
Ma perché il giudice ed i testimoni che avevano un’ottima conoscenza del latino decisero di deporre in volgare? Per rispondere alla nuova esigenza di un popolo che non riconosceva più il latino come lingua parlata, tant’è che l’utilizzo del volgare si rese necessario per farsi intendere dalla maggior parte del pubblico nell’aula non parlava più latino.
Da ciò l’importanza epocale del placito cassinese, il quale segna il momento in cui la lingua italiana è stata ufficialmente riconosciuta. I Placiti sono sopravvissuti alle vicissitudini del monastero di Montecassino, che li ospita ormai da secoli.

Biblioteca dell’Abbazia di Montecassino
Per chi volesse consultarli sono perfettamente conservati nella Biblioteca dell’Abbazia, insieme a circa 25.000 volumi anteriori al 1848, codici risalenti al VI e VII sec, 20.000 pergamene.